26 giugno 2012

Invasione di droni nei cieli della Sicilia

Invasione di droni nei cieli della Sicilia

di Antonio Mazzeo


Droni, droni e ancora droni. Sarà intensissimo, in estate, il via vai di aerei militari senza pilota sui cieli siciliani. Decine di decolli ed atterraggi nella base USA e NATO di Sigonella che faranno impazzire il traffico aereo nel vicino scalo civile di Catania Fontanarossa. Grandi aerei spia del tipo Global Hawk e i Predator e i Reaper carichi di bombe e missili che sorvoleranno l’isola e solcheranno i mari, pregiudicando la sicurezza dei voli e delle popolazioni.

Le notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) emesse lo scorso 4 giugno lasciano presagire tragici scenari di guerra in Siria e nell’intero scacchiere mediterraneo e mediorientale. Tre riguardano lo scalo di Fontanarossa e sono distinti dai codici B4048, B4049 e B4050. Impongono la sospensione delle procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aerei, tutti i giorni sino al prossimo 1 settembre, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, i famigerati aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e italiane. “Le restrizioni sopra menzionate verranno applicate su basi tattiche dall’aeroporto di Catania”, specificano i NOTAM. Che le operazioni dei droni riguardino la stazione aeronavale di Sigonella, lo si apprende da un altro avviso, codice M3066/12, che ordina la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, “per l’attività di Unmanned Aircraft militari”. Il grande scalo delle forze USA e NATO subirà inoltre “restrizioni al traffico aereo”, nei giorni 19 e 20 giugno, per una vasta esercitazione aeronavale nel Mediterraneo. Gli ennesimi giochi di guerra alleati che potrebbero annunciare l’attacco finale al regime di Assad.

“Quelle oggetto nei NOTAM relativi all’aeroporto di Catania, sono di aerei militari senza pilota italiani o americani a Sigonella?”, chiede l’Associazione Antimafie “Rita Atria” che per prima ha rilevato l’intensissima attività dei droni in Sicilia. “L’Amministrazione Obama usa questi velivoli anche per uccidere presunti terroristi e in queste missioni ci sono sempre i cosiddetti effetti collaterali: uccisioni di bambini, donne e uomini innocenti civili. Conta ancora qualcosa la volontà popolare in Italia? Noi non abbiamo dato mandato a nessuno in Parlamento di autorizzare gli aerei senza pilota a fare quello che vogliono in occasione di guerre come quella in Libia e in Afghanistan, volando nel nostro spazio aereo e ponendo gravi limitazioni al traffico aereo civile. Per questo dobbiamo mobilitarci contro i droni, per smilitarizzare i nostri territori e riprenderci la nostra sovranità che ci hanno dato i Padri Costituenti”.

“Con la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale degli aerei senza pilota e l’installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema satellitare della marina militare USA, la Sicilia diviene l’epicentro delle guerre globali e permanenti del XXI secolo”, commenta Alfonso Di Stefano della Campagna per la smilitarizzazione. “Attualmente sono schierati a Sigonella due o tre Global Hawk dell’US Air Force. Entro il 2015, però, diverranno operativi l’AGS, il sistema di sorveglianza terrestre della NATO e il Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e i grandi aerei-spia saranno più di una ventina. Che ne sarà allora del traffico aereo civile nell’isola che già oggi è pesantemente limitato dalle spericolate operazioni belliche dei droni italiani e stranieri?”.

Due anni fa, l’Aeronautica militare e l’ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) siglarono un accordo tecnico per l’attività di aeronavigazione nello spazio aereo italiano dei Global Hawk schierati a Sigonella nell’ambito dell’accordo Italia-Stati Uniti del 2008. Senza attendere una normativa europea che disciplini in via definitiva l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo generale, l’accordo ha consentito l’impiego dei droni nell’ambito di spazi aerei “determinati” e con l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili”. All’Aeronautica militare è stata attribuita la “predisposizione degli spazi aerei necessari all’impiego operativo ed addestrativo dei velivoli militari a pilotaggio remoto”, mentre l’Enac dovrebbe curare in coordinamento con l’Enav (ente nazionale per l’assistenza al volo) gli aspetti di gestione e controllo del traffico aereo generale.

Il testo del documento è simile a quello che era stato siglato nel novembre 2008 per le operazioni di volo dei Predator in dotazione al 32° Stormo Ami di Amendola (Foggia), utilizzati nella guerra in Afghanistan e più recentemente in Libia. Secondo gli accordi, i profili delle missioni, le procedure operative, le aree di lavoro e gli equipaggiamenti, dovrebbero essere stabiliti “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se è poi precisato che in caso di “operazioni connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato” l’impiego dei droni non può essere sottoposto a limitazioni di alcun genere. E questo nonostante i velivoli telecomandati rappresentino un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio.

“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante per poter essere ottimisti sui tempi di integrazione di questi sistemi nello spazio aereo nazionale”, ammette il maggiore dell’aeronautica Luigi Caravita in una recente ricerca sui droni pubblicata per il Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “Da fonti ufficiali si apprende che nelle prime 100.000 ore di volo il tasso d’incidente del MQ-1 Predator ammontava a 28, oltre il doppio del cacciabombardiere F16. Altri sistemi a pilotaggio remoto come il Pioneer, l’Hunter e l’RQ-7 Shadow hanno invece un rateo di incidenti di almeno uno-due ordini di grandezza superiore”.

“La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, aggiunge il maggiore Caravita. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non sono dotati di una tecnologia sense & avoid matura, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.

Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari USA. “Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di quello dei velivoli con pilota dell’US Air Force, anche se al di sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi sistemi”.

In verità, gli incidenti che vedono protagonisti gli aerei senza pilota stanno crescendo in numero e gravità. In particolare si annoverano due collisioni nei cieli dell’Afghanistan, la prima nel 2004 tra un drone ed un Airbus 320 e più recentemente (agosto 2011) tra un aereo da trasporto militare C130 statunitense ed un RQ-7 Shadow. I Predator e i Reaper sembrano avere una certa predisposizione a perdere il controllo e precipitare rovinosamente al suolo o nei mari. E precipitano pure i Global Hawk: nel marzo 1999 un velivolo dell’US Air Force si è schiantato in California da un’altitudine di 12.500 metri dopo aver ricevuto un segnale spurio di “termine missione” dalla base aerea di Nellis. Ieri 11 giugno, è toccato a un dimostratore BAMS di US Navy ad essere inghiottito dalle acque del Nanticoke River, vicino l’isola di Bloodsworth, Maryland. Il velivolo, una versione modificata del Global Hawk RQ-4 operativo con l’aeronautica militare, era stato schierato nella stazione aeronavale di Patuxent River, nell’ambito del cosiddetto programma di sviluppo Broad Area Maritime Surveillance che prevede il trasferimento a breve di cinque aerei UAV di US Navy nella base di Sigonella.



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