30 maggio 2011
Guerra Meteorologica in atto?
22 maggio 2011
L’esperimento Xenon100 per la ricerca della materia oscura
a cura di Gabriella Bernardi
L’esperimento XENON100, in funzione ai Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) conferma con i suoi nuovi risultati di essere l’apparato più sensibile al mondo nella ricerca delle cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particles) le particelle principali candidate a costituire la misteriosa “materia oscura”.
I nuovi dati, relativi a cento giorni di osservazione, sono stati recentemente illustrati ai Laboratori del Gran Sasso da Elena Aprile della Columbia University, fondatrice e leader della collaborazione internazionale che ha dato vita all’esperimento.
‘’In quei cento giorni – spiega Elena Aprile – ci aspettavamo di osservare circa due eventi provenienti dalla radiazione di fondo. Ne abbiamo visti tre, quindi non c’è ancora nessuna evidenza, ma la ricerca continua, e gli ulteriori dati che stiamo già prendendo ci porteranno più vicini a un’eventuale scoperta. Ma già adesso – continua Elena Aprile – i risultati ottenuti pongono i vincoli più stringenti al mondo, sulle interazioni di tipo “elastico” delle WIMP con la materia ordinaria. E questo grazie alle prestazioni straordinarie del nostro rivelatore, nel quale siamo riusciti a ridurre il fondo radioattivo a livelli senza precedenti’’.
Come noto da anni, osservazioni di carattere cosmologico provenienti da varie fonti, indicano che la materia ordinaria costituisce solamente il 17% della massa dell’Universo. L’83% di tutta la materia presente nel Cosmo sarebbe invece composto da una forma nuova e ancora non osservata di materia, la cosiddetta materia oscura. Una possibile spiegazione, favorita anche da plausibili estensioni dell’attuale ‘modello standard’ delle particelle elementari, è che la materia oscura sia costituita da particelle, le WIMP (Weakly Interacting Massive Particles, in italiano “particelle massive debolmente interagenti”), distribuite in un enorme alone che avvolge la nostra galassia. L’informazione mancante per confermare l’attuale immagine del Cosmo è attesa proprio dalla rivelazione diretta di queste particelle. Il vento di particelle WIMP dovuto al movimento della Terra nell’alone galattico di materia oscura, può occasionalmente colpire i nuclei di Xenon del rivelatore, depositando così una piccola quantità di energia che può essere rivelata con i dispositivi ultrasensibili di cui l’esperimento è dotato.
XENON100 è in funzione dall’ottobre 2009; l’esperimento utilizza circa 160 chilogrammi di gas Xenon liquido, alla temperatura di 90 gradi sotto lo zero. Rivelatori di luce sensibilissimi (chiamati fotomoltiplicatori), immersi nel gas liquefatto, sono in grado di rivelare anche i minimi segnali di luce derivanti dai deboli urti delle particelle di materia oscura con i nuclei di Xenon. Con una tecnica particolare è possibile distinguere questi segnali da altri causati dalla radioattività ambientale. Proprio per ridurre al minimo questa fonte di “rumore”, XENON100 si trova nei laboratori INFN, al di sotto dei 1400 metri di roccia di Monte Aquila, nel Parco Nazionale del Gran Sasso. Questo strato di roccia consente di ridurre, assorbendolo, il flusso della radiazione cosmica di un milione di volte. Tuttavia, ciò non è ancora sufficiente per raggiungere la sensibilità richiesta da un esperimento di questo tipo. XENON100 è pertanto ulteriormente schermato da strati di piombo, polietilene e rame, e tutti i materiali scelti per la sua costruzione sono stati accuratamente selezionati per minimizzarne la radioattività.
La collaborazione XENON si compone di 60 scienziati di 14 istituzioni scientifiche statunitensi, cinesi, francesi, tedesche, israeliane, olandesi, portoghesi e svizzere. Anche ricercatori italiani, dei Laboratori del Gran Sasso, di Bologna e Torino, partecipano all’esperimento.
“In questi giorni gli occhi del mondo scientifico internazionale sono di nuovo puntati sui Laboratori del Gran Sasso dell’INFN – ha commentato Lucia Votano, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso – grazie ai nuovi dati dell’esperimento XENON100. I risultati illustrati durante la riunione del Comitato Scientifico internazionale del Laboratorio non mostrano ancora segnali di evidenza di materia oscura, ma grazie alla straordinaria sensibilità dell’esperimento restringono moltissimo la ‘’zona di caccia’’ delle cosiddette WIMP, le particelle più accreditate a costituire la materia oscura. La ricerca proseguirà e la Collaborazione XENON ha già presentato al Gran Sasso la proposta di un apparato molto più sensibile. Il Laboratorio del Gran Sasso, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare costituisce la struttura più importante al mondo per condurre esperimenti di fisica delle particelle in ambiente sotterraneo. In particolare, ospita 4 tra i più importanti rivelatori dedicati alla ricerca della materia oscura. Oltre a XENON, sono presenti gli esperimenti CRESST, DAMA e WARP.
L’esperimento XENON100, in funzione ai Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) conferma con i suoi nuovi risultati di essere l’apparato più sensibile al mondo nella ricerca delle cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particles) le particelle principali candidate a costituire la misteriosa “materia oscura”.
I nuovi dati, relativi a cento giorni di osservazione, sono stati recentemente illustrati ai Laboratori del Gran Sasso da Elena Aprile della Columbia University, fondatrice e leader della collaborazione internazionale che ha dato vita all’esperimento.
‘’In quei cento giorni – spiega Elena Aprile – ci aspettavamo di osservare circa due eventi provenienti dalla radiazione di fondo. Ne abbiamo visti tre, quindi non c’è ancora nessuna evidenza, ma la ricerca continua, e gli ulteriori dati che stiamo già prendendo ci porteranno più vicini a un’eventuale scoperta. Ma già adesso – continua Elena Aprile – i risultati ottenuti pongono i vincoli più stringenti al mondo, sulle interazioni di tipo “elastico” delle WIMP con la materia ordinaria. E questo grazie alle prestazioni straordinarie del nostro rivelatore, nel quale siamo riusciti a ridurre il fondo radioattivo a livelli senza precedenti’’.
Come noto da anni, osservazioni di carattere cosmologico provenienti da varie fonti, indicano che la materia ordinaria costituisce solamente il 17% della massa dell’Universo. L’83% di tutta la materia presente nel Cosmo sarebbe invece composto da una forma nuova e ancora non osservata di materia, la cosiddetta materia oscura. Una possibile spiegazione, favorita anche da plausibili estensioni dell’attuale ‘modello standard’ delle particelle elementari, è che la materia oscura sia costituita da particelle, le WIMP (Weakly Interacting Massive Particles, in italiano “particelle massive debolmente interagenti”), distribuite in un enorme alone che avvolge la nostra galassia. L’informazione mancante per confermare l’attuale immagine del Cosmo è attesa proprio dalla rivelazione diretta di queste particelle. Il vento di particelle WIMP dovuto al movimento della Terra nell’alone galattico di materia oscura, può occasionalmente colpire i nuclei di Xenon del rivelatore, depositando così una piccola quantità di energia che può essere rivelata con i dispositivi ultrasensibili di cui l’esperimento è dotato.
XENON100 è in funzione dall’ottobre 2009; l’esperimento utilizza circa 160 chilogrammi di gas Xenon liquido, alla temperatura di 90 gradi sotto lo zero. Rivelatori di luce sensibilissimi (chiamati fotomoltiplicatori), immersi nel gas liquefatto, sono in grado di rivelare anche i minimi segnali di luce derivanti dai deboli urti delle particelle di materia oscura con i nuclei di Xenon. Con una tecnica particolare è possibile distinguere questi segnali da altri causati dalla radioattività ambientale. Proprio per ridurre al minimo questa fonte di “rumore”, XENON100 si trova nei laboratori INFN, al di sotto dei 1400 metri di roccia di Monte Aquila, nel Parco Nazionale del Gran Sasso. Questo strato di roccia consente di ridurre, assorbendolo, il flusso della radiazione cosmica di un milione di volte. Tuttavia, ciò non è ancora sufficiente per raggiungere la sensibilità richiesta da un esperimento di questo tipo. XENON100 è pertanto ulteriormente schermato da strati di piombo, polietilene e rame, e tutti i materiali scelti per la sua costruzione sono stati accuratamente selezionati per minimizzarne la radioattività.
La collaborazione XENON si compone di 60 scienziati di 14 istituzioni scientifiche statunitensi, cinesi, francesi, tedesche, israeliane, olandesi, portoghesi e svizzere. Anche ricercatori italiani, dei Laboratori del Gran Sasso, di Bologna e Torino, partecipano all’esperimento.
“In questi giorni gli occhi del mondo scientifico internazionale sono di nuovo puntati sui Laboratori del Gran Sasso dell’INFN – ha commentato Lucia Votano, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso – grazie ai nuovi dati dell’esperimento XENON100. I risultati illustrati durante la riunione del Comitato Scientifico internazionale del Laboratorio non mostrano ancora segnali di evidenza di materia oscura, ma grazie alla straordinaria sensibilità dell’esperimento restringono moltissimo la ‘’zona di caccia’’ delle cosiddette WIMP, le particelle più accreditate a costituire la materia oscura. La ricerca proseguirà e la Collaborazione XENON ha già presentato al Gran Sasso la proposta di un apparato molto più sensibile. Il Laboratorio del Gran Sasso, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare costituisce la struttura più importante al mondo per condurre esperimenti di fisica delle particelle in ambiente sotterraneo. In particolare, ospita 4 tra i più importanti rivelatori dedicati alla ricerca della materia oscura. Oltre a XENON, sono presenti gli esperimenti CRESST, DAMA e WARP.
Eros, “asteroide artificiale”,ho “base aliena”
Eros è un asteroide della fascia principale compresa tra Marte e Giove. Nella sua superficie sono state rilevate strane strutture artificiale. Anche una parabola di 60 metri di diametro. Non si può fuggire davanti all’evidenza.
Di Salvatore Giusa
Gli asteroidi:Sono una moltitudine di corpi solidi,composti da silicati e metalli,che orbitano attorno al Sole principalmente nella regione di spazio compresa fra le orbite di Marte e di Giove. Se ne conoscono soltanto poche migliaia,ma il numero e in continua crescita. La maggior parte degli asteroidi si trovano ad una distanza compresa tra 2,1 e 3,3,unità astronomica (UA) e forma la cosiddetta “cintura asteroidale”.I primi asteroidi vennero scoperti a partire tra il 1801,come “Ceres,Pallas, Vesta e Juno . Il periodo d’oro per la scoperta degli asteroidi inizio nel 1845,quando l’otto dicembre, Karl Hencke scopri un nuovo asteroide “Astra”.Dal 1801 ad oggi sono stati individuati più di 5000 asteroidi e non tutti sono stati ancora oggi catalogati. Il più grande e “Cerere”,ha un diametro di 1000 km,ma la stragrande maggioranza non arriva a 100 km,mentre i più piccoli che si riescono ancora ad individuare misurano soltanto qualche centinaia di metri. Nonostante il loro grande numero,si pensa che la loro massa totale non superi l’1%di quella della Terra. “Cerere” il primo asteroide conosciuto,fu scoperto da Giuseppe Piazzi a Palermo nel capodanno del 1801 a causa del suo moto tra le stelle. L’uomo intanto si affida alla tecnologia, desideroso di conoscere da vicino gli asteroide, capire la loro origine e
soprattutto analizzare,la polvere in superficie da questi macigni. Il primo asteroide che venne avvicinato da una sonda automatica fu “Gaspra”,il primo ad essere studiato dalla sonda “Galileo”.Il 17 Febbraio 1996,venne lanciata la sonda “Near”.L’obbiettivo di questa sonda era di raccogliere tutte le informazioni possibili sulla natura e le origini dei numerosi asteroidi che si trovano nei pressi dell’orbita terrestre. La sonda “Near” era in ogni modo già risultata uno dei progetti d’esplorazione spaziale più prolifici degli anni,avendo fornito una quantità di osservazioni e misure 10 volte superiore a quelle previste inizialmente:nel 1997 la sonda “Near” era transitata a poca distanza da un altro asteroide prima di raggiungere a Eros,Mathilde,fornendo immagini ad alta risoluzione di questo corpo celeste. Proceduta qualche anno prima dalla sonda “Galileo”.La “Near”,possedeva strumenti finalizzati allo studio di questi corpi vaganti. Fornendo informazioni di grande importanza agli astronomi,in particolare sulla loro dinamica e densità. L’asteroide “Eros”,infatti,sembra essere costituito da aggregati compatti di roccia e metallo,tenuti insieme da una debole gravità,piuttosto che da una struttura unica:caratteristica che potrebbe essere a molti asteroidi. Tutto questo e affascinante per uno studio scientifico degli asteroidi,perché da essi possiamo comprendere la formazione del nostro sistema solare. L’asteroide “Eros” da questo punto di vista poteva essere interessante. Ma……..le foto che arrivavano sulla Terra dalla sonda “Near”, evidenziavano qualcosa di “anomalo”,facendo attivare subito quelli della Nasa. Usando il scetticismo più totale davanti ad una evidenzia simile. Le immagini trasmesse dalla sonda durante l’avvicinamento a “Eros”si intravedevano strane strutture artificiali . Ma cosa stava fotografando la sonda?
Le foto che la sonda “Near”,trasmesse si potevano rilevare alcune anomalie che lasciarono sconcertati la maggior parte dei ricercatori indipendenti. All'interno di un cratere posto in una delle estremità dell'asteroide sono state individuati alcuni oggetti alquanto insoliti per la superficie di un "masso alla deriva". In particolare si nota la presenza di alcuni oggetti perfettamente sferici con la superficie dall'aspetto metallico e dotati di una base d'appoggio. Almeno una di queste sfere, i cui diametri vanno dai venti metri fin circa i centoventi metri, ha la superficie lucida che riflette perfettamente la luce e l'ambiente circostante. Alcune di queste sfere minori sono inoltre fornite di protuberanze su di un lato o sulla sommità. “Pazzesco come si fa, a sostenere che si tratti di semplici massi” Difficile sostenere che si tratti soltanto di pietre naturali, la differenza con i massi disseminati sulla superficie è evidente! Sembrerebbe più logico associare le sfere ad un utilizzo da parte di entità intelligenti come per esempio di stazioni spaziali o depositi di carburante o altri elementi necessari alla sussistenza di una comunità basata sull'asteroide. La forma sferica è infatti tra tutte la più solida e la più indicata per sostenere carichi di pressione interna o esterna, dunque la più azzeccata per un utilizzo spaziale. In particolare, le sfere dotate di sporgenza si presterebbero come attracco per veicoli spaziali. Ma non è ancora tutto. Ciò che ha fatto esultare gli amanti del filone ufologico e del mistero in generale è stata l'individuazione di una costruzione a forma di cono ho antenna radar, del diametro di circa sessanta metri. Identificata subito come l'antenna radar ho come antenna parabolica delle comunicazioni della base, appare nelle foto come una parabola con tanto di supporti ed infrastrutture. Infine, per completare il quadro, è necessario rilevare che tale parabola,ho radio telescopio, semmai esistesse ancora qualche dubbio, risulta, confrontando le immagini riprese in giorni diversi, mobile ed efficiente, dunque regolarmente in servizio!A questo punto dobbiamo solamente dire:si tratta di un “asteroide, ho di una base aliena” Non stiamo parlando di un film di fantascienza ma di una realtà nascosta al grande pubblico. E’perche non si parla più di questo asteroide?Anni fa si ebbe un tentativo di divulgazione da parte di un astrofilo italiano,ma venne immediatamente oscurato! Escludendo la possibilità che si tratti di opere provenienti dalla Terra (le dimensioni sono troppo imponenti),ammettiamo che si tratti di una tecnologia terrestre,come sono riusciti a portala sull’asteroide,senza che nessuno se ne accorgesse. Escludendo che si tratti di fotomontaggi (anzi, sembra che dalle foto originali siano state coperte alcune zone per nascondere alcuni particolari forse "compromettenti"), considerando l'attendibilità dei documenti provenienti dall'archivio ufficiale dell'ente spaziale americano (le foto sono liberamente accessibili nel loro sito), dunque tutti le possono vedere,ed analizzare, non resta che formulare congetture circa gli autori delle opere.
Di Salvatore Giusa
Salvatore Giusa |
Gli asteroidi:Sono una moltitudine di corpi solidi,composti da silicati e metalli,che orbitano attorno al Sole principalmente nella regione di spazio compresa fra le orbite di Marte e di Giove. Se ne conoscono soltanto poche migliaia,ma il numero e in continua crescita. La maggior parte degli asteroidi si trovano ad una distanza compresa tra 2,1 e 3,3,unità astronomica (UA) e forma la cosiddetta “cintura asteroidale”.I primi asteroidi vennero scoperti a partire tra il 1801,come “Ceres,Pallas, Vesta e Juno . Il periodo d’oro per la scoperta degli asteroidi inizio nel 1845,quando l’otto dicembre, Karl Hencke scopri un nuovo asteroide “Astra”.Dal 1801 ad oggi sono stati individuati più di 5000 asteroidi e non tutti sono stati ancora oggi catalogati. Il più grande e “Cerere”,ha un diametro di 1000 km,ma la stragrande maggioranza non arriva a 100 km,mentre i più piccoli che si riescono ancora ad individuare misurano soltanto qualche centinaia di metri. Nonostante il loro grande numero,si pensa che la loro massa totale non superi l’1%di quella della Terra. “Cerere” il primo asteroide conosciuto,fu scoperto da Giuseppe Piazzi a Palermo nel capodanno del 1801 a causa del suo moto tra le stelle. L’uomo intanto si affida alla tecnologia, desideroso di conoscere da vicino gli asteroide, capire la loro origine e
Lo strano oggetto che mostrerebbe delle strane antenne! |
soprattutto analizzare,la polvere in superficie da questi macigni. Il primo asteroide che venne avvicinato da una sonda automatica fu “Gaspra”,il primo ad essere studiato dalla sonda “Galileo”.Il 17 Febbraio 1996,venne lanciata la sonda “Near”.L’obbiettivo di questa sonda era di raccogliere tutte le informazioni possibili sulla natura e le origini dei numerosi asteroidi che si trovano nei pressi dell’orbita terrestre. La sonda “Near” era in ogni modo già risultata uno dei progetti d’esplorazione spaziale più prolifici degli anni,avendo fornito una quantità di osservazioni e misure 10 volte superiore a quelle previste inizialmente:nel 1997 la sonda “Near” era transitata a poca distanza da un altro asteroide prima di raggiungere a Eros,Mathilde,fornendo immagini ad alta risoluzione di questo corpo celeste. Proceduta qualche anno prima dalla sonda “Galileo”.La “Near”,possedeva strumenti finalizzati allo studio di questi corpi vaganti. Fornendo informazioni di grande importanza agli astronomi,in particolare sulla loro dinamica e densità. L’asteroide “Eros”,infatti,sembra essere costituito da aggregati compatti di roccia e metallo,tenuti insieme da una debole gravità,piuttosto che da una struttura unica:caratteristica che potrebbe essere a molti asteroidi. Tutto questo e affascinante per uno studio scientifico degli asteroidi,perché da essi possiamo comprendere la formazione del nostro sistema solare. L’asteroide “Eros” da questo punto di vista poteva essere interessante. Ma……..le foto che arrivavano sulla Terra dalla sonda “Near”, evidenziavano qualcosa di “anomalo”,facendo attivare subito quelli della Nasa. Usando il scetticismo più totale davanti ad una evidenzia simile. Le immagini trasmesse dalla sonda durante l’avvicinamento a “Eros”si intravedevano strane strutture artificiali . Ma cosa stava fotografando la sonda?
Il complesso strutturale di una base,con la sua parabola! |
La sonda Near! |
Le foto che la sonda “Near”,trasmesse si potevano rilevare alcune anomalie che lasciarono sconcertati la maggior parte dei ricercatori indipendenti. All'interno di un cratere posto in una delle estremità dell'asteroide sono state individuati alcuni oggetti alquanto insoliti per la superficie di un "masso alla deriva". In particolare si nota la presenza di alcuni oggetti perfettamente sferici con la superficie dall'aspetto metallico e dotati di una base d'appoggio. Almeno una di queste sfere, i cui diametri vanno dai venti metri fin circa i centoventi metri, ha la superficie lucida che riflette perfettamente la luce e l'ambiente circostante. Alcune di queste sfere minori sono inoltre fornite di protuberanze su di un lato o sulla sommità. “Pazzesco come si fa, a sostenere che si tratti di semplici massi” Difficile sostenere che si tratti soltanto di pietre naturali, la differenza con i massi disseminati sulla superficie è evidente! Sembrerebbe più logico associare le sfere ad un utilizzo da parte di entità intelligenti come per esempio di stazioni spaziali o depositi di carburante o altri elementi necessari alla sussistenza di una comunità basata sull'asteroide. La forma sferica è infatti tra tutte la più solida e la più indicata per sostenere carichi di pressione interna o esterna, dunque la più azzeccata per un utilizzo spaziale. In particolare, le sfere dotate di sporgenza si presterebbero come attracco per veicoli spaziali. Ma non è ancora tutto. Ciò che ha fatto esultare gli amanti del filone ufologico e del mistero in generale è stata l'individuazione di una costruzione a forma di cono ho antenna radar, del diametro di circa sessanta metri. Identificata subito come l'antenna radar ho come antenna parabolica delle comunicazioni della base, appare nelle foto come una parabola con tanto di supporti ed infrastrutture. Infine, per completare il quadro, è necessario rilevare che tale parabola,ho radio telescopio, semmai esistesse ancora qualche dubbio, risulta, confrontando le immagini riprese in giorni diversi, mobile ed efficiente, dunque regolarmente in servizio!A questo punto dobbiamo solamente dire:si tratta di un “asteroide, ho di una base aliena” Non stiamo parlando di un film di fantascienza ma di una realtà nascosta al grande pubblico. E’perche non si parla più di questo asteroide?Anni fa si ebbe un tentativo di divulgazione da parte di un astrofilo italiano,ma venne immediatamente oscurato! Escludendo la possibilità che si tratti di opere provenienti dalla Terra (le dimensioni sono troppo imponenti),ammettiamo che si tratti di una tecnologia terrestre,come sono riusciti a portala sull’asteroide,senza che nessuno se ne accorgesse. Escludendo che si tratti di fotomontaggi (anzi, sembra che dalle foto originali siano state coperte alcune zone per nascondere alcuni particolari forse "compromettenti"), considerando l'attendibilità dei documenti provenienti dall'archivio ufficiale dell'ente spaziale americano (le foto sono liberamente accessibili nel loro sito), dunque tutti le possono vedere,ed analizzare, non resta che formulare congetture circa gli autori delle opere.
La parabola di 60 metri! |
14 maggio 2011
INCONTRO RAVVICINATO CON I VISITATORI A IQUITOS, IN PERU'
Cunningham, ragazzo della Luna, sogna la nuova Nasa
Walter Cunningham |
L’avventura spaziale di Walter Cunningham è stata breve, 11 giorni in tutto. Ma la sua fu l’impresa di un pioniere. Andò in orbita con il primo razzo Saturno, quello progettato da von Braun per la conquista della Luna, più precisamente, il “Saturn 1b”. Un volo sperimentale carico di rischi, che condivise con Walter Shirra e Donn Eisele, entrambi scomparsi (nel 2007 e nel 1987).
La missione si chiamava “Apollo 7”. C’era stato un disgraziato “Apollo 1”, con tre astronauti morti bruciati durante una semplice esercitazione: Gus Grissom, Roger Chaffee e Ed White. Dopo la tragedia, lo sviluppo del razzo proseguì con test senza equipaggio fino all’”Apollo 7”, quando per la prima volta tre astronauti misero la loro pelle su quella macchina pesante 590 tonnellate, quasi tutte di propellente. In pratica, una enorme bomba con in cima una piccola cabina abitata.
Cunningham era tra i “vice” dei tre astronauti carbonizzati. Quella sera aveva aspettato a lungo che il test finisse. Alla fine, poiché i contrattempi si sommavano ai contrattempi, si decise a tornare a casa. Del resto quel test era “routine”, una simulazione sulla rampa di lancio, niente di più. Seppe dell’incidente mentre era ancora in auto. Notizia lacerante. Ma che gli aprì la strada dello spazio. Se Grissom, Chaffee e White non fossero morti in quel modo spaventoso e per certi versi inglorioso, chissà quale sarebbe stato il suo destino. Mors tua vita mea. La capsula dell’”Apollo 7” si chiamò “Fenice” perché era risorta dalle ceneri dei tre astronauti martiri.
Queste vicende Walter Cunningham ce le racconta nei primi capitoli del suo libro “I ragazzi della Luna”, ora tradotto in italiano per l’editore Mursia (Milano) da Umberto Cavallaro (606 pagine, 20 euro, prefazione di Giovanni Caprara). Segue l’epopea dei voli verso la Luna, fino al commiato dell’”Apollo 17” nel dicembre 1972. Una storia vissuta dall’interno, con gli aspetti umani, nobili e meno nobili, storie di ragazzi eccezionali, spesso eroici, ma nessuno è eroe sempre e dovunque. E poi lo Shuttle, che proprio in questi giorni sta raggiungendo il traguardo della pensione. La stazione spaziale russa “Mir”, e ora la Stazione Spaziale Internazionale.
A mezzo secolo dall’incursione in orbita di Gagarin e quasi a quarant’anni dall’ultima impronta umana lasciata sulla Luna, leggere queste pagine di Cunningham è istruttivo ed emozionante. Nato nel 1932 a Creston nello Iowa, Cunningham era un pilota di caccia dei Marines cresciuto alla Venice High School in California. Già esperto di volo acrobatico aveva assistito al lancio dello Sputnik nel 1957 e ai voli di Gagarin e di Sephard (missione suborbitale di 15 minuti, 5 maggio 1961) ancora ignaro del proprio destino. Quando nel 1963 ci fu un bando per astronauti, decise di concorrere, anche se gli mancava un anno alla laurea in fisica.
“Apollo 7”, il suo primo e unico volo nello spazio, partì l’11 ottobre 1968 e rientrò il 22 nell’oceano Atlantico: 263 ore intorno alla Terra, mentre già la missione successiva, “Apollo 8” realizzerà la circumnavigazione della Luna. Fu dunque un viaggio fondamentale per mettere alla prova il razzo ma senza lustrini. Eppure aveva il brivido di chi affida la propria vita a un razzo audacemente sperimentale. “Avevo visto molti decolli – scrive Cunningham – ma questo era diverso. Si trattava del più grande razzo mai lanciato, che sollevava il carico più grande mai messo in orbita, e questa volta ero seduto dentro, non stavo guardando”.
Ecco gli istanti fatali: “Il razzo comincia a sollevarsi dalla rampa di lancio così lentamente e così pesantemente che all’inizio non ti dà neppure l’impressione che si stia muovendo. Passano 10 secondi di lenta agonia, prima che Apollo 7 lasci la torre: 590 tonnellate devono essere bilanciate in una scia di fuoco”.
Ora che l’era Shuttle è al tramonto, il libro di Cunningham, sempre avvincente, acquisisce attualità e un grande interesse negli ultimi capitoli e nelle conclusioni. Cunningham dichiara tutta la sua disapprovazione per il “turismo spaziale”, specie se coinvolge strutture internazionali di ricerca come la Space Station. Se turismo deve essere, se la vedano gli imprenditori privati che fantasticano di alberghi sulla Luna e soggiorni in orbita. L’esplorazione dello spazio è una cosa seria da trattare seriamente, e deve uscire dalla crisi. Non è solo una questione di soldi. I finanziamenti della Nasa sono scesi ma non è questo il vero problema. I soldi arriverebbero se si ritrovassero le idee coraggiose e lo slancio che fecero del Programma Apollo un grande successo. Certo, non c’è più l’incentivo della “guerra fredda” e della competizione con l’Unione Sovietica. Ma la sfida del ritorno sulla Luna per scopi scientifici e magari per raccogliere elio-3 da usare nei futuri reattori nucleare a fusione controllata non è da sottovalutare.
In prospettiva c’è Marte. “La nuova missione della Nasa – dice Cunningham – “è studiare l’universo ed esplorare il sistema solare”. Per farlo bisogna garantire l’accesso allo spazio con un nuovo mezzo tipo shuttle ma a decollo orizzontale e in grado di salire a 60 chilometri bruciando l’ossigeno dell’atmosfera, senza doverselo portare in un serbatoio; lassù dovrebbe partire un secondo stadio a razzo classico. Ma con un carico pagante ben maggiore perché fino a 60 chilometri di quota il primo stadio ha sfruttato il comburente regalato dall’atmosfera. Così il balzo verso Marte diventerebbe possibile.
In dollari di oggi il Programma Apollo costò 125 miliardi. Anche se il biglietto per Marte dovesse costare tre o quattro volte di più, sarà sempre meno di un anno di guerra in Iraq e in Afghanistan. Ma c’è la voglia di farlo? Nelle ultime righe Cunningham sembra dubitarne.
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