La storia di questo “cugino” semisconosciuto è legata a quella di un personaggio singolare: il californiano Robert Ripley (1890-1949), disegnatore, antropologo dilettante ed appassionato collezionista di curiosità e stranezze da ogni parte del mondo. Ripley divenne molto famoso (e molto ricco) negli Stati Uniti tra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso, grazie alle sue tavole dal titolo “Che ci crediate o no!”, pubblicate dal New York Globe, incentrate proprio sulle bizzarrie raccolte nei suoi innumerevoli viaggi. Dopo arrivarono le trasmissioni radiofoniche, gli show, i libri e le mostre chiamate “Ripley’s Odditorium”.
La prima venne organizzata in concomitanza con la Fiera Mondiale di Chicago, nel1933. Proprio in quella occasione, tra souvenir strambi, oggetti esotici, folli invenzioni e cimeli incredibili, il collezionista espose anche un corpicino rinsecchito dall’aspetto umano. Ne esistono poche, rare foto in bianco e nero contenute nella biografia “Un uomo curioso: la strana e brillante vita di Robert Che ci crediate o no! Ripley”, scritta da Neal Thompson. In esse si vede il milionario in posa con la strana creatura tra le mani.
“Ripley era affascinato dalla miniaturizzazione della forma umana, effetto della pratica rituale diffusa in alcune culture per ridurre la dimensione delle teste mozzate ai nemici”, ha raccontato l’autore all’Huffington Post. Il ricco imprenditore credeva che Atta Boy fosse proprio il risultato di una di queste manipolazioni, realizzate però sul corpo intero di un ragazzino, dai Jivaro- popolazioni indie dell’Alta Amazzonia.
“Per quello che ne so io- dice Thompson- Ripley non ha lasciato appunti su come è entrato in possesso del reperto nè sulla sua storia precedente. C’è un po’ di mistero. Però so che era convinto che fosse un essere umano mummificato, non un alieno.”
Ovviamente, qualsiasi cosa fosse, difficilmente poteva trattarsi davvero di un corpo rimpicciolito. La tecnica usata dalle tribù amazzoniche sulle teste tagliate prevede infatti l’eliminazione della scatola cranica: la pelle del volto, svuotata della parte ossea, viene poi bollita a lungo con cortecce ricche di tannino che la “conciano” come se fosse cuoio, riducendola di dimensione.
“Per fare altrettanto su un intero corpo, si dovrebbero togliere tutte le ossa“, spiega Edward Meyer, vicepresidente della Ripley’s Entertainment Inc., la società che gestisce l’impero creato dal collezionista californiano. “A me, sembra molto più simile ad un feto mummificato, che ad un ragazzino miniaturizzato”, dice.
Un feto mummificato: la stessa identica spiegazione avanzata da alcuni medici perAta, il mini umanoide del Cile. Almeno fino a qualche settimana fa, quando le ultime analisi hanno stabilito invece che la piccola creatura non era un prematuro morto prima della nascita, ma un bambino vissuto fino a 6-8 anni. Ecco l’ennesima analogia tra Ata e Atta Boy. Solo coincidenze? “Io non le chiamerei così. Credo che sia la medesima storia che si ripete a distanza di 70 o 80 anni”, ammette Meyer.
Può esserci dunque una relazione tra i due corpi mummificati? L’area di provenienza è vicina, proprio come l’epoca di appartenenza, visto che la morte di Ata risalirebbe a circa un secolo fa mentre Atta Boy compare sulla scena nel 1933. L’uno potrebbe servire a chiarire l’origine dell’altro, il confronto dei due DNA potrebbe dare risposte importanti.
Ma in questo puzzle manca un tassello fondamentale: la mini mummia esposta alla Fiera Mondiale di Chicago è scomparsa. Nessuno sa dove sia finita, se sia andata persa o sia ora custodita nella casa di un altro collezionista. Tra le decine di migliaia di cimeli raccolti in vita da Robert Ripley e tuttora visibili nei 32 Odditorium sparsi per il mondo, comunque, Atta Boy non c’è.
Un mistero nel mistero, che stuzzica anche l’amministratore dell’immensa eredità del magnate americano. Edward Meyer, dalle pagine dell’Huffington Post, rivolge così un appello: “Se qualcuno sa dove sia l’originale Atta Boy, mi scriva. Penso che la sua storia sia ancora meglio di quella del moderno Ata, se mai riusciremo a trovarlo o a scoprire che fine ha fatto“. C’è anche una ricompensa per chi darà informazioni utili:un ingresso gratis, a vita, in tutti i musei che espongono le bizzarrie e le stranezze raccolte da Robert ”Che ci crediate o no!” Ripley.
SABRINA PIERAGOSTINI