[Corriere] I campi coltivati sono una distesa di polvere. Tutti i raccolti (eccetto il mais) sono stati distrutti da un fungo microscopico.
È già nata l’ultima generazione che vivrà sul nostro pianeta. Ma non ha futuro.
L’unica speranza è trovare un pianeta abitabile simile alla Terra, ma nel Sistema solare non ce ne sono. Quando tutto sembra perduto, viene scoperto dalle parti di Saturno un tunnel spazio-temporale che potrebbe far viaggiare un’astronave di quattro esploratori in sistemi lontani per scoprire Terra 2 e salvare l’Homo sapiens grazie agli embrioni umani congelati portati nella «pancia» della nave spaziale-madre.
Un «taglio» scientifico
Questa è in sintesi la storia che sta alla base di Interstellar, il film di Christopher Nolan in uscita il 6 novembre nei cinema italiani che, secondo alcuni critici, è destinato a diventare un punto di riferimento per il cinema di fantascienza come lo fu nel 1968 il capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio. Non è questo il posto per dare un giudizio critico del film di Nolan, ciò che interessa è che il regista ha deciso di dare alla sua opera, forse per la prima volta dai tempi di Kubrick, un taglio scientifico il più possibile aderente alla realtà a differenza di molti film di fantascienza, che di «scientifico» avevano veramente poco.
Tunnel spazio-temporale
Nolan si è affidato alla consulenza di Kip Thorne, fisico teorico e uno dei maggiori esperti al mondo di relatività, buchi neri, onde gravitazionali e tunnel spazio-temporali. In particolare il professore del California Institute of Technology ha studiato la possibilità (teorica) di viaggiare nel tempo (solo in avanti, i viaggi nel passato sono «fisicamente» impossibili) attraverso i cosiddetti tunnel spazio-temporali (wormhole), mai osservati ma previsti da modelli matematici, in cui regioni lontane dello spazio vengono messe in comunicazione. Non è certo la prima volta che i tunnel spazio-temporali compaiono nei film e nella letteratura di fantascienza. Gli appassionati di Star Trek li conoscono bene e anche l’astronauta David Bowman alla fine di Odissea 2001 viaggia oltre lo spazio e il tempo in una sorta di tunnel spazio-temporale. Ma Nolan è il primo che – grazie a Kip Thorne – ne filma uno esattamente come si vedrebbe se qualcuno ci si avvicinasse o ci finisse dentro (e riuscisse a sopravvivere, ma questa è un’altra storia senza la quale il film non si potrebbe fare).
Buco nero
In fondo al tunnel però non sempre c’è la luce: l’equipaggio di Endurance (astronave che è basata sull’esperienza della Stazione spaziale internazionale e che prende il nome della nave della sfortunata spedizione antartica del capitano Shackleton del 1914-1916) alla fine trova un buco nero supermassiccio. La rappresentazione filmica di questo buco nero è scientificamente accurata (secondo alcuni critici non sufficientemente spettacolare, ma non era questo che voleva il regista). Thorne disegna il centro del buco nero come una «singolarità» – cioè un punto di massa infinita – e intorno a questo un disco dovuto alla materia che viene attirata dal «mostro» e che cade con una traiettoria a spirale verso l’orizzonte degli eventi (cioè la linea oltre la quale la gravità è pari alla velocità della luce e che proprio per questo lo fa essere «nero»). La fortissima gravità fa avvolgere la materia intorno al buco nero come un alone e deforma anche il tempo: è questa immagine una della «meraviglie» scientifiche dell’intero film. Ma, come ha dimostrato Stephen Hawking, qualcosa – qualche informazione – riesce a «evaporare» (radiazione di Hawking) dall’orizzonte degli eventi e a sfuggire al buco nero. È ciò che serviva a Nolan per immaginare «nuovi mondi» dentro il buco nero e fornire ulteriori spunti al film.
Le citazioni scientifiche
Interstellar è pieno di citazioni scientifiche. Per esempio in una scena Endurance inizia a ruotare su se stessa a una velocità di 67 giri al minuto, una velocità alla quale gli astronauti fanno fatica a restare coscienti e a non svenire. Perché proprio 67 e non un altro numero? Perché 67 giri al minuto era la velocità alla quale iniziò a ruotare la capsula di Gemini 8 il 16 marzo 1966 e che quasi costò la vita agli astronauti Neil Armstrong (che tre anni dopo divenne il primo uomo sulla Luna) e Dave Scott.
Dust Bowl
Le scene iniziali con i campi coltivati ridotti a una distesa di polvere sono una citazione delle tempeste di sabbia che colpirono negli anni Trenta le zone centrali degli Stati Uniti che vennero soprannominate Dust Bowl. I due anziani che compaiono nel film e che raccontano come la terra divenne una distesa di polvere sono due persone che vissero davvero quella tragedia e che compaiono anche in un documentario del 2012 di Ken Burns.
Collaborazione
Thorne ha scritto anche le equazioni di come dovrebbe apparire un raggio di luce che attraversa un tunnel spazio-temporale. Per creare al computer una singola immagine del tunnel, del buco nero e delle lenti gravitazionali secondo le indicazioni dello scienziato sono state necessarie a volte anche 100 ore di lavoro. Alla fine della collaborazione tra Nolan, Thorne e il gruppo addetto alla visualizzazione computerizzata sono nati due lavori scientifici pubblicati: uno di astrofisica e uno di computer grafica.